
Theatre has not to analyze and provide numbers, chronologies or statistics. I think that theatre translates. It doesn’t enumerate and it doesn’t explain. And I’ m not talking about literal translation, I talk about metaphor, vision, point of view. Theatrical writing is for me looking at the horizon from the door’s peephole. I cannot see everything, I’m not supposed to see everything, but from what I perceive I can imagine endless possible worlds. And it is really in that multiplication of possibilities, and in the close and silent relation with the spectator, that I find revolutions of sense and landscapes that I have never seen.
Francesca Garolla
Francesca Garolla studied for a while at the Faculty of Philosophy at the University of Milan and then graduated in directing at the Paolo Grassi Academy of Dramatic Art.
For years she collaborated with Teatro i, participating in major productions as performer, dramaturg and author, and becoming part of the theatre’s artistic direction and partner.
Parallel to the running of this cultural project, she developed a strong interest in research and an autonomous path as an author.
Since 2014, her texts begin to be broadcast in France and written thanks to writing residencies. These include, in particular: Non correre Amleto, selected in the Palmarès of the Maison Antoine Vitez in 2018 and signalled by la Comédie Française in 2019, and Tu es libre, also translated with the contribution of the Maison Antoine Vitez, realised in residence at La Chartreuse – Centre National des écritures du spectacle in Avignon, where she has been several times, and presented at Rencontres d’été during the 2017 Festival d’Avignon, it was also signalled by la Comédie Française as one of the most significant texts of the 2017/2018 season; in the 2017 Tu es libre is a finalist Premio Riccione and in the autumn of 2020 it was staged at the Piccolo Teatro in Milan .
In 2020/2021, she is the only European lauréat of the playwriting section of the Cité Internationale des Arts in Paris, where she is writing Se ci fosse luce, inspired by the events of the Moro kidnapping, which she directs in 2023, thanks to a co-production LAC – Lugano Arte e Cultura and ERT-Emilia Romagna Teatro. Se ci fosse luce was also selected within the Palmarès of Artcena – aide à la création, a device that supports the production of the text in France.
In 2022, again thanks to an artistic residency at La Chartreuse, she completed his latest text, Per la vita, supported by the Italian Cultural Institute in Paris, which was presented it in a bilingual version last November. In the same year, he won the Valeria Moriconi Futuro della scena prize, thanks to a recommendation by Emma Dante.
All her texts are translated into French, but she is also translated into Czech, Romanian and English, and is a selected author in the European project Fabulamundi – Playwriting Europe.
NON CORRERE AMLETO
29 maggio 1993, Ex-Jugoslavia, guerra. Agguato ad un convoglio di aiuti umanitari nei pressi di una strada chiamata Diamond Route.
Tre persone vengono uccise e due riescono a fuggire.
Tre morti e due vivi.
Questi sono i fatti.
Una delle vittime era mio zio ed io avevo meno di dodici anni quando è morto.
Lui non cercò di scappare, rimase fermo, immobile, e fu colpito da tre pallottole.
Ritrovarono il corpo un paio di giorni dopo. Senza le scarpe.
Chissà perché.
La morte, che non ama le formalità, lo aveva lasciato scalzo. Una cosa ridicola.
Una delle sue sorelle raccontava ai funerali di averlo sognato, lui diceva: “Bastava che gli altri non si mettessero a correre e sarebbe andato tutto bene. Bastava quello. Solo quello.
Bastava non correre, per rimanere vivi.”
La scrittura prende a pretesto questo episodio, elemento autobiografico e fatto di cronaca (o di storia), cercando, attraverso due monologhi paralleli, di trovare un senso a qualcosa che senso non ha: il dolore.
E la morte appare per quello che è: stupida e ridicola.
Ma di quale morte sto realmente parlando? La sua? La mia? La nostra? Ciascuno di noi ha la sua morte.
TU ES LIBRE
Haner è partita per la Siria. Si è unita a Daesh. Ha aderito ad un sistema sociale, culturale, etico del tutto differente da quello a cui noi apparteniamo.
Ma Haner non ha origini mediorientali, non è un’immigrata, non è un’emarginata, non è stata manipolata e non è pazza. Haner è una giovane donna francese che può fare, ed essere, tutto ciò che vuole.
Haner è libera di scegliere e mette in atto la propria libertà. Una libertà feroce, che non si fa controllare, definire o interpretare, che va oltre il valore della morte e della vita. Una improbabile, oscena, incredibile libertà.
Possiamo comprendere il perché della scelta di Haner? Esiste questo perché? Sappiamo accettare una libertà per cui la vita non è un valore? Una libertà per cui l’individuo non è bene prezioso da difendere, ma solo funzione o frammento di una comunità? Una libertà che uccide?
Solo sette giorni, sette come sette sono i giorni della creazione nella Bibbia e nel Corano, e solo il tempo dello spettacolo per capirlo.
Eppure, se siamo davvero liberi, dovremmo saper tollerare la libertà dell’altro. Qualunque essa sia.
N.N.
In scena due sole figure. Un padre e un figlio. L’azione è il loro colloquio, un colloquio apparente, un flusso di parole che attraversa entrambi ma che potrebbe appartenere ad uno solo. Uno più uno è davvero uguale a uno.
I due si incontrano in un frammento di tragedia: unità di tempo, di luogo e di azione.
Si incontrano nello spazio tempo di un lutto non ancora elaborato: nell’attesa di un funerale, nella pausa prima della tumulazione, nell’intervallo in cui si veglia una bara, aperta su un volto che è già altro dalla persona amata.
È l’attimo subito successivo al dramma, in cui il tempo interrompe il suo fluire lineare o circolare e forma una bolla di non respiro e senza lacrime.
E in tutto questo la Storia c’è, anche se sembra perduta. Non risuona più universale, come nelle parole dei padri, ma è eco indistinta alla quale sono stati tolti potenza e nitore. Frasi roboanti e volutamente vuote che nominano la guerra eppure non sanno rappresentarla, nomi che richiamano volti, strade e piazze. Un passato che diventa presente e col presente si confonde. Padre e figlio emergono in questo universo frammentato e monologante, un universo che disegna un tempo che non si riesce ad afferrare né a definire.
Gli avvenimentiI successivi al 1968, fino a gran parte degli anni ’70, hanno sancito una frattura sia da un punto di vista storico che antropologico. La generazione che partecipò attivamente al movimento di quegli anni ha in qualche modo voluto “uccidere” i propri genitori rifiutandone la legge.
Il testo vuole indagare cosa questa generazione abbia lasciato ai propri figli: non li ha in qualche modo a sua volta divorati, lasciandoli privi di un orizzonte definito in cui vivere e pianificare il proprio futuro?
Un’analisi del presente condotta attraverso gli occhi di una generazione, nata negli anni ottanta, addirittura negli anni novanta, che non ha visto, né tanto meno ha vissuto, il fervore della storia recente, eppure ne porta le invisibili ferite. Figli che faticano ad uccidere metaforicamente i propri genitori e , incapaci di elaborare il lutto, non riescono a diventare adulti e a riappacificarsi con la storia.
SOLO DI ME. Se non fossi stata Ifigenia sarei Alcesti o Medea
Tre donne che potrebbero essere una sola, una figlia, una moglie, una madre: Ifigenia, Alcesti, Medea, in una riscrittura nella quale si incontrano e per la prima volta dialogano. La tragedia irrompe attraverso queste voci, che si fanno exempla. Tre modi di essere nel mondo, tre esperienze accumunate da un unico atto, il sacrificio.
Se è vero che l’uomo è animale sociale e che, in particolare, le donne sembrano definirsi meglio in relazione all’altro, in qualità di figlia di, compagna di o madre di – cosa non vera per il cosiddetto maschio, fiero e certo del suo posizionamento nel mondo – è pur vero che rimane costante la ricerca di una autonoma affermazione di sé.
Ifigenia cerca nella morte per mano paterna la possibilità di diventare eroina, Alcesti trova nella rinuncia a se stessa la possibilità di essere santa e Medea, con l’omicidio dei figli, può farsi dea, che decide di vita e di morte.
Al di là dell’essere per qualcuno o per qualcosa, le donne desiderano essere, semplicemente.
C’è qualcosa di ridondante e misterioso in tutte quelle riflessioni che hanno come fulcro la femminilità che, non a caso, è stata centro e motore di ampia letteratura e saggistica, poesia e teatro.
Se le donne sono state spesso in minoranza nel tentativo di realizzare la loro potenzialità creativa altrettanto spesso sono state protagoniste epocali e indiscusse dell’arte di altri.
I personaggi femminili segnano il tempo in cui nascono, da Tolstoij a Flaubert, uno stuolo di donne ha riempito lo spazio scenico, le librerie e la nostra memoria di lettori e spettatori.
Se con difficoltà hanno conquistato il loro essere soggetto nella realtà, le donne, con estrema e complementare facilità, sono state oggetto principe della fiction.