In questo momento storico mi sento senza radici, senza casa, senza lavoro. Questo disagio, comune a gran parte dei miei coetanei, lo combatto vivendo, agendo, scrivendo; certo che riuscirò a cambiare il mio destino. Voglio essere autore del mio futuro, quello di “adesso” o al massimo di “tra poco”. Attingo dal mio passato, perché nel passato è nascosto il dolore, ma anche la gioia, che è speranza per il futuro. Scrivo perché voglio che il mio teatro nasca dalle mie radici e dalla realtà in cui vivo, che si nutra di esseri umani. Il mio teatro deve essere la mia donna e il mio uomo, insieme!
Tindaro Granata nasce a Tindari (ME) nella seconda metà del 900.
Si diploma all’Istituto per Geometri di Patti e appena ventenne si imbarca su Nave Spica, in qualità di Meccanico Artigliere. Dopo aver trascorso un anno in mare occupandosi della gestione e manutenzione delle armi di difesa della nave militare, nel 1999 si trasferisce a Roma col sogno di poter fare teatro. Per vivere lavora come commesso, in diversi negozi di scarpe, a Fontana di Trevi prima e a Largo Argentina poi da Marcus Shoes; poi come cameriere in trattorie e ristoranti.
Artisticamente non ha una formazione accademica. Il suo percorso teatrale inizia nel 2002 con Massimo Ranieri, in occasione della messa in scena dello spettacolo Pulcinella. Tindaro si presenta al provino teatralizzando la canzone U pisci spada di Domenico Modugno. Viene scelto per il ruolo di co-protagonista. A seguito di un grave incidente al ginocchio, l’anno dopo, Tindaro sospende la sua attività di attore per due anni, ricominciando con fatica, ma trovando sulla sua strada molti professionisti che lo aiutano a migliorarsi e a crescere. Nel 2009 lascia Roma e si trasferisce a Milano. Con Carmelo Rifici inizia un felice sodalizio dal 2006 e lo porta a lavorare in diversi importanti spettacoli, tra i quali Ifigenia, liberata. È diretto da Serena Sinigaglia in Il libro del buio e in32 secondi e 16. Andrea Chiodi lo dirige in diversi progetti teatrali, tra i quali ricordiamo La Locandiera e La Bisbetica Domata.
Esordisce come autore di sé stesso nel 2011 con Antropolaroid, spettacolo sulla storia della sua famiglia, messo in scena con un originale rielaborazione dell’antica tecnica del “cunto siciliano” . Vince la Borsa Teatrale Anna Pancirolli, il Premio ANCT 2011 come Miglior spettacolo d’innovazione e il premio FERSEN. In seguito mette in scena Invidiatemi come io ho invidiato voi, storia di un caso di pedofilia realmente accaduto a Perugia nel primi anni 2000, col quale ricevere il premio Mariangela Melato come Miglior attore emergente, il Premio FERSEN alla Regia, il Premio ENRIQUEZ per Drammaturgia per l’impregno civile e inoltre il Premio Internazionale Orgoglio Siciliano nel Mondo. Geppetto e Geppetto col quale affronta il tema della “stepchild adoption” e il rapporto tra padri e figli, riceve il Premio UBU 2016 come Novità o nuovo progetto drammaturgico, il premio Hystrio Twister 2017 come Miglior spettacolo dell’anno e il Premio ENRIQUEZ come Miglior spettacolo di impegno civile e sociale, Premio Mario Mieli 2017 come Miglior spettacolo dell’anno.
In qualità di autore puro, scrive su commissione Farsi Silenzio, un pellegrinaggio laico alla ricerca di cosa è sacro oggi; scrive anche Dedalo e Icaro, storia di un padre (Dedalo) che cerca di comprendere e accettare l’autismo del figlio (Icaro).
Sarà in scena nel ruolo di Tom, in Lo zoo di vetro, diretto da Leonardo Lidi; Macbeth – Le cose nascoste, per la regia di Carmelo Rifici; Materia Oscura, scritto da Davide Carnevali, co-regia Proxima Res/Rifici.
È direttore artistico della compagnia teatrale Proxima Res. Dirige una rassegna di drammaturgia contemporanea dal nome Situazione Drammatica – IL COPIONE, per avvicinare lo spettatore alla pratica della lettura dei testi teatrali contemporanei.
Estratto da Invidiatemi come io ho invidiato voi
VICINA – Guardavo la scena, dalla mia finestra. In cucina la televisione accesa, parlava. Mi girai e vidi nello schermo, quello che potevo vedere anche dalla mia finestra. Ero come congelata. Le voci venivano da più parti. Non si distinguevano quelle reali da quelle riprodotte. Andai verso il televisore e appena vidi la Angela, mi venne un brivido. Ero entrata in una confusione che… Ho ringraziato Dio che i miei figli sono ragazzi per bene e con la testa posto. Il televisore parlava ma io non sentivo. Ero troppo felice di non averle dato mai confidenza. Grazie al cielo non è mai entrata in casa mia, neanche per un caffè. Siamo gente per bene noi. Non ci manca niente. Siamo felici.
ANGELA – Perdonami. Se potessi tornare indietro… certe cose non le farei. Quant’eri bella amore mio; certo che ha perso la testa per te. Eri bellissima. Ti ha guardata nuda per vedere me… e ti ha presa per prendere me. Sono sempre stata sfortunata nella vita. Dovevo proteggerti di più… nasconderti a gli occhi della gente. Non ci hanno permesso di vivere felicemente. Lui ci avrebbe dato la felicità. Sicuro. Se tu non fossi stata debole… se non fosse accaduto il peggio… è stato il malocchio. Ti accarezzava per amarti… non per farti male. Anche me ha accarezzato e non è successo niente a me… vedi? Sono ancora qua. Aveva bisogno d’amore e noi due dovevamo darglielo. Sei sempre stata troppo vivace amore mio. Ti avrà dovuto fermare le manine… i piedini… non potevi capire che ci amava. Tuo padre non ti amava così tanto. Quando l’ho conosciuto ho subito avuto un sesto senso. Ho sentito dentro di me che lui era la persona giusta per tirarci fuori dalla situazione in cui eravamo. Eravamo infelici. Tu, amore mio saresti cresciuta infelice. Lui era la nostra felicità (Piange). Era la felicità fatta persona. Era felicità. Era felicità. Era tutto quello che volevo. C’eri tu, io e lui. Eravamo una famiglia come tante. Era la felicità lui… e l’hanno fatto diventare un mostro. Che ti ha mangiato per amore. E ora non ci sei più. Ma per amore, amore mio.
MARITO – Dimmi che devo fare. Sono solo. Non so cucinare. Non è che so fare le cose della casa. La bambina diventava dottoressa se diventava grande. E da vecchi ci curava lei. Che devo fare Angela? Devo piangere? Va bene… (Piange)
TRAMONTO – Piangeva troppo la bambina. Avevo la punta tutta bagnata. Sapevo che solo un colpetto sarebbe bastato per entrare dentro e sborrare. Solo un colpo e avrei sborrato. Nel culetto c’ero entrato… piangeva. Appena entrato si era immobilizzata… e piangeva… ma sembrava muta, per i primi secondi. Poi buttò un urlo che mi fece rabbrividire. Mi spaventai. Mi diventò molle e non riuscii a continuare. La feci calmare un po’. Mangiammo il gelato al cioccolato. Poi, appena duro di nuovo, provai col davanti.
COGNATA – E’ andata come doveva andare. Puttana la madre, puttana la figlia. Mi hanno portato via mio fratello. Io l’avrei reso felice. Invece quella non poteva… Non lo conosceva mio fratello. Io avrei fatto di tutto per lui. Mi sono sposata perché lui me l’aveva detto. Con un suo amico mi sono sposata. Adesso che tutto si è risolto ci sarà pace. E saremo più felici. Passeremo di nuovo le feste insieme… e l’estate a casa di papà. Grazie a Dio che mi ha dato una vita serena da vivere insieme a mio fratello-. Ora che è tutto risolto saremo più felici.
(Registrazione di una bambina che ride)
MADRE – Quanto ho pianto per questa bambina… ora piango per te. Che ti sei lasciata convincere. Che ti ho insegnato? Niente? Ora paga. Io non lo facevo uno sbaglio così grande. Peggio per te figlia mia. Il peggio è che non sono più nonna. Morirò mamma… ma mamma di una che non è stata mamma come me. E’ finita l’epoca. Non ti capisce nessuno figlia, non pensano che sei debole, ti pensano forte e ti condannano. Non c’è più comprensione delli dolori. Ma Angela è forte. E’ forte. E’ talmente la sua fortezza che diventa fragile.