Nalini Vidoolah Mootoosamy

Nalini

Nalini Vidoolah Mootoosamy nasce nel 1979 nell’isola di Mauritius. Nel 1990 è immigrata in Italia. Ha conseguito un dottorato in francesistica all’Università degli Studi di Milano, dove insegna letteratura e cultura francese e francofona. In ambito teatrale, si forma e specializza in scrittura drammaturgica seguendo alcuni laboratori e stage con Gabriele Vacis, Vitaliano Trevisan, Carlos Maria Alsina, Renato Gabrielli, Lucilla Giagnoni, Claudio Tolcachir e Naira Gonzalez. Collabora da due edizioni al progetto “Teatro Utile” dell’Accademia dei Filodrammatici, lavorando sul tema della migrazione e della seconda generazione. Nel 2018 ha fondato l’Associazione Ananke Arts, che organizza progetti di formazione teatrale ed eventi performativi sui temi della contemporaneità: per gli spettacoli Elogio della fuga (2017) e Elogio della lentezza (2018) ha svolto il ruolo di dramaturg. Dal 2018 conduce laboratori teatrali di scrittura autobiografica per stranieri, richiedenti asilo e adulti.

Il sorriso della scimmia

Una famiglia di immigrati di origine indo-mauriziana è alle prese con un evento cruciale: il Padre deve recarsi in Comune per il conferimento della cittadinanza italiana. Ma questa occasione di festa si trasforma presto nel rischio, ricco di tensione, di un esame sociale che mette alle corde l’intera famiglia. In particolare Raoul, il figlio, è combattuto tra la necessità di aiutare il padre e la frustrazioni di sapersi ancora “straniero”. La somiglianza fisica col Padre, a cui fa da riferimento amaro il titolo della pièce, simboleggia per Raoul il marchio del disagio e del servilismo della propria famiglia in Italia. Nonostante le destabilizzanti apparizioni del giovane vicino di casa, Vikram, e le ripetute preghiere della Madre al dio Ganesh, sarà la collega di Raoul, Laura, a dispetto della diffidenza verso gli Italiani, a portare una energia diversa nella casa di solito preclusa. I temi del disagio linguistico e della difficoltà di integrazione sono rappresentati nelle scene di apertura e di chiusura, dove il riferimento metaforico alla “bambinanza” della famiglia è il segno della condizione di inferiorità, inerme e ingenua, in cui tutti i membri della famiglia si sentono per destino avvolti.