Luca Di Capua è nato a Roma ed ha 28 anni. Ha studiato inizialmente alla scuola di teatro chiamata “teatroazione” non trovando un grande riscontro, ma ha iniziato le prime esperienze d’attore nel collettivo The Pills; poi ha preso parte come protagonista ad una sit-com su Rai Due dal titolo “Zio Gianni” ed a vari cortometraggi ed ad un flm indipendente dal titolo “4021”. Ha seguito molti seminari di Filippo Gili che lo hanno illuminato sulla lettura del testo e su un modo concreto di recitare in teatro ed ha lavorato con lui per un “Amleto” che non è poi andato in cartellone nei teatri stabili. Ha preso ultimamente parte ad uno spettacolo teatrale andato in scena alle Carrozzerie N.o.t. dal titolo “Tocofobia”. Da qualche anno si è cimentato nella scrittura, creando un format dal titolo “Semplici”: una serie di sketch grotteschi ambientati vicino Colleferro, avvicinandosi anche alla scrittura teatrale, grazie all’input creatosi in alcuni seminari seguiti con Lucia Calamaro. Da diversi anni, purtroppo o per fortuna, alterna l’attività di attore con l’attività d’insegnamento teatrale per bambini presso la scuola Giuseppe Mazzini di Roma.

La vita di prima

“La vita di prima” è un testo nato da un laboratorio di scrittura con Lucia Calamaro, da lì, quasi per caso, si è sviluppato un tema che mi ha portato a creare una storia, con quattro personaggi: una famiglia. Il nodo è sempre quello, non se ne scappa, ma l’intento era di raccontare le dinamiche e le figure familiari con gli occhi di un ragazzo che va via di casa e vede la famiglia con occhi nuovi, quasi sereni e riappacificati nei confronti dei propri famigliari. Non c’è nulla di sconvolgente in questo lavoro anzi, è proprio la dinamica dei dialoghi, così veri, quindi surreali e grotteschi che crea la misura del tutto. Non c’è altro. Insieme a questa tematica si mescola una storia d’amore passionale ma destinata a finire, senza un motivo, forse per troppo coinvolgimento o forse per un’eccessiva idealizzazione. La famiglia, composta da un padre sereno ma in fondo molto chiuso, una madre stanca ed affannata e due fratelli, molto uniti ma a tratti tremendamente distanti, si siedono al tavolo la domenica e parlano, come sempre. Un filo grottesco, assurdo nella sua naturalezza, ripercorre una situazione di totale distanza che a tratti diventa invece di una vicinanza assoluta e viscerale.